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Isola Bella Lago Maggiore

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L’Isola Bella è un’isola situata nel Lago Maggiore, in Lombardia, Italia. Conosciuta per la sua bellezza, la storia dell’isola bella risale a molti secoli fa, quando viene utilizzata come porto per le navi romane che solcavano il lago. Oggi, l’isola è una delle mete turistiche più ambite del Lago Maggiore, accogliendo migliaia di visitatori ogni anno. Grazie alla sua bellezza e alla sua storia millenaria, l’Isola Bella è diventata un luogo di grande interesse culturale e artistico, unico nel suo genere. Ha saputo conservare nel tempo la sua bellezza e il suo fascino. Grazie alla cura dei giardini e alla preservazione delle opere d’arte, Palazzo Borromeo, l’isola è diventata un patrimonio culturale di inestimabile valore, che continua ad affascinare i visitatori di tutto il mondo.

Perché si chiama Isola Bella

L’isola deve il suo nome alla principessa Isabella di Borbone, moglie di Carlo III, duca di Borbone. La principessa, che aveva grande interesse per l’arte e la cultura, decise di trasformare l’isola in un giardino barocco nel 1632, che ancora oggi è visitabile.isola bella lago maggiore - palazzo borromeo

Il giardino, che si estende su una superficie di circa 13 ettari, è un vero e proprio capolavoro di architettura e design. Ogni angolo del giardino è studiato nei minimi dettagli, creando un ambiente unico e suggestivo. Tra le particolarità del giardino ci sono le statue e le fontane, che contribuiscono ad arricchire il patrimonio artistico dell’isola.

La storia

L’isola è stata anche un luogo di grande interesse archeologico. Nel 1940, durante dei lavori di scavo, è stata rinvenuta una necropoli romana risalente al I secolo d.C., che conferma la presenza dell’uomo sull’isola già in epoca romana. Nella necropoli sono stati ritrovati numerosi reperti, tra cui una testa di marmo raffigurante l’imperatore romano Claudio.

Palazzo Borromeo

Un’altra curiosità riguarda il palazzo Borromeo, che si trova al centro dell’isola. Il palazzo è stato costruito tra il 1632 e il 1671 e venne utilizzato come residenza estiva dalla famiglia Borromeo. Il palazzo ospita numerose opere d’arte, tra cui quadri, sculture e arredi antichi.

Ma l’isola non è solo un gioiello di arte e natura. Nel corso dei secoli ha avuto anche una vita molto movimentata. Durante la seconda guerra mondiale, l’isola viene occupata dalle truppe tedesche e successivamente liberata dagli Alleati. Inoltre, nel corso dei secoli, l’isola è stata spesso teatro di feste e celebrazioni, come il famoso ballo delle debuttanti, che si svolge ogni anno nel palazzo Borromeo.

NAPOLEONE

Napoleone Bonaparte ha avuto un ruolo importante nella storia dell’Isola Bella, in quanto l’isola e la famiglia Borromeo che ne era proprietaria, sono state coinvolte nei conflitti che hanno interessato l’Italia durante il periodo napoleonico.

Cronostoria Napoleonica

Nel 1796 Napoleone invase l’Italia e la Repubblica Cisalpina venne istituita nel 1797. In questo periodo, la famiglia Borromeo, che era particolarmente influente nella regione, cercò di mantenere il controllo dell’isola e delle sue proprietà.

Nel 1800, durante la Battaglia di Marengo, l’esercito francese guidato da Napoleone sconfisse l’esercito austriaco e ottenne il controllo di gran parte dell’Italia settentrionale, compreso il lago Maggiore. In seguito a questa vittoria, Napoleone visitò l’Isola Bella e ne apprezzò la bellezza e il fascino.

Nel 1805, Napoleone decise di regalare l’Isola Bella alla sua sorella, la principessa Elisa Bonaparte, che lo aveva supportato nella sua ascesa al potere. La principessa Elisa divenne quindi la nuova proprietaria dell’isola e intraprese una serie di lavori di ristrutturazione e ampliamento del palazzo Borromeo.

I personaggi dell’epoca

Durante il periodo napoleonico, l’Isola Bella e la sua bellezza naturale e architettonica divennero una meta popolare per i nobili e i visitatori stranieri che viaggiavano in Italia. L’isola e il palazzo Borromeo sono stati frequentati da personaggi illustri dell’epoca, come il poeta Lord Byron, il musicista Franz Liszt e lo scrittore Stendhal.

La caduta di Napoleone

In seguito alla caduta di Napoleone e alla restaurazione del governo borbonico in Italia, l’Isola Bella tornò alla famiglia Borromeo, che ne mantenne la proprietà fino ad oggi. Oggi l’Isola Bella è ancora uno dei luoghi più visitati del lago Maggiore, grazie alla sua bellezza naturale, alla ricchezza del patrimonio storico e culturale e all’atmosfera romantica che la circonda.

La Chiesa di San Vittore

Oltre al giardino barocco e al palazzo Borromeo, l’isola ospita anche la Chiesa di San Vittore, una chiesa del XVII secolo dedicata a San Vittore, patrono dell’isola. La chiesa presenta un interno sobrio e raffinato, con affreschi e dipinti di artisti locali.

L’isola è stata un luogo di grande interesse per gli scienziati e i naturalisti. Nel 1823, il botanico svizzero Jean Pierre Etienne Vaucher visitò l’isola e raccolse numerose specie di piante, alcune delle quali erano sconosciute alla scienza dell’epoca. Anche oggi, il giardino dell’isola ospita una grande varietà di piante, molte delle quali rare o esotiche.

Il giardino barocco

Un’altra caratteristica interessante dell’isola è la presenza di numerose sculture e fontane. Nel giardino barocco, infatti, si possono ammirare numerose statue e fontane di epoca rinascimentale e barocca, molte delle quali provenienti dall’Italia centrale e meridionale. Tra le opere più note si segnalano la fontana dei delfini, la fontana del tritone e la fontana dell’orso.

Inoltre, l’isola è stata anche un luogo di grande importanza strategica durante le guerre del XVII e XVIII secolo. Durante la guerra di successione spagnola, l’isola cade sotto la presa e rasa al suolo dalle truppe francesi, che distrussero gran parte del palazzo Borromeo e del giardino. Successivamente, l’isola fu ricostruita e riportata al suo antico splendore dalla famiglia Borromeo.

Il giardino barocco dell’isola è stato progettato dal celebre architetto Francesco Maria Richini, che ha lavorato anche alla cattedrale di Milano e alla Certosa di Pavia. Il giardino, che si estende per oltre 10 ettari, è stato realizzato nel XVII secolo e presenta numerose terrazze, scalinate, grotte e fontane, che creano un effetto scenografico molto suggestivo.

Il tesoro nascosto

Un’altra curiosità riguarda la leggenda del tesoro dei Borromeo. Si racconta che la famiglia Borromeo, durante il periodo della dominazione spagnola, abbia sepolto un grande tesoro sull’isola, per nasconderlo dalle truppe nemiche. La leggenda ha ispirato molte ricerche e tentativi di scavo sull’isola, ma finora nessun tesoro è stato mai trovato.

L’isola è stata anche un luogo di ispirazione per scrittori e artisti. Tra gli ospiti illustri dell’isola ci sono stati il poeta Lord Byron, il compositore Franz Liszt e l’artista John Singer Sargent, che ha dipinto numerosi ritratti della famiglia Borromeo.

Le parole di Charles Dickens sull’Isola Bella

Dopo aver visitato l’isola il famoso scrittore inglese Charles Dickens scrisse: “For however fanciful and fantastic the Isola Bella may be, and is, it still is beautiful”. Tradotto letteralmente: “Per quanto fantastica e meravigliosa possa essere ed è l’Isola Bella, è tuttavia bellissima”.

Da chi è abitata Isola Bella

Un’altra curiosità riguarda la vita sulla isola. L’isola è abitata tutto l’anno solo da un piccolo gruppo di persone, tra cui il giardiniere capo e il custode del palazzo. Tuttavia, durante il periodo estivo, l’isola è aperta ai visitatori e diventa una meta turistica molto frequentata.

I film e telefilm girati all’Isola Bella

L’isola è stata anche il set di numerosi film e produzioni televisive. Tra le opere più note che hanno avuto l’Isola Bella come sfondo si segnalano il film del 1968 “Il diavolo nel cervello“, con Lino Ventura e Marlene Jobert, e la serie televisiva del 2016 “In arte Nino“, dedicata alla vita e alle opere del pittore italiano Nino Caffè.

La moda sull’isola

L’isola è stata anche un luogo di grande interesse per la moda e il design. Nel 2011, la casa di moda Dolce & Gabbana ha scelto l’Isola Bella come location per una delle sue sfilate, creando un’atmosfera suggestiva e sofisticata tra le terrazze e le fontane del giardino.

Nel 2024, diventa invece la passerella per la famosa casa francese Louis Vuitton, che ha deciso di portare sull’Isola la sua collezione Cruise 2024. L’isola diventa quindi location per i capi d’abbigliamenti che Louis Vuitton rende disponibili nel novembre del 2023.

FAUNA e FLORA

Un’altra curiosità riguarda la fauna dell’isola. Grazie alla sua posizione privilegiata, l’isola è un importante luogo di sosta per numerose specie di uccelli migratori, che si fermano sull’isola per riposarsi e nutrirsi. Tra le specie di uccelli che si possono osservare sull’isola ci sono il fringuello, il pettirosso, il merlo e il fiorrancino. Inoltre, sull’isola è presente anche una colonia di pavoni, che si aggirano liberamente tra i giardini.

Inoltre, il giardino ospita una grande varietà di piante, tra cui siepi di cipresso, agrumi, palme, camelie e piante tropicali. Questo rende l’isola uno dei luoghi più suggestivi del Lago Maggiore.

L’Isola Bella è un luogo straordinario, dalle molte sfaccettature, che conserva intatta la sua bellezza e il suo fascino anche dopo secoli di storia. Offre un’esperienza unica e indimenticabile a chiunque la visiti. La sua storia millenaria, la sua bellezza naturale e architettonica, e le numerose curiosità che la circondano la rendono una meta turistica imperdibile per chiunque ami la cultura, l’arte, la natura e il fascino del passato.

Perché la mimosa è il simbolo che rappresenta la festa della donna

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L’8 marzo è una data molto importante per le donne di tutto il mondo. Si tratta della Festa della Donna, una giornata dedicata alla celebrazione dei diritti delle donne e alla lotta contro ogni forma di discriminazione di genere. In molti paesi, questa festa viene festeggiata regalando alle donne una mimosa, che è diventata il simbolo della Festa della Donna. Ma perché proprio l’8 marzo è stato scelto come data per questa celebrazione? E perché la mimosa è diventata il simbolo di questa festa? In questo articolo cercheremo di rispondere a queste domande, esplorando le origini e la storia della Festa della Donna e il significato della mimosa come simbolo di questa festa.

INDICE

La mimosa è una pianta molto amata in tutto il mondo per la sua bellezza e il suo profumo intenso. La pianta appartiene alla famiglia delle Leguminose e il suo nome scientifico è Acacia dealbata. Il nome “mimosa” deriva dal greco anticomimos“, che significa imitatore, a causa della sua capacità di imitare il movimento delle foglie quando viene toccata dal vento.

Storia della mimosa

La mimosa è originaria dell’Australia e della Tasmania, ma è stata introdotta in Europa nel XIX secolo. In Italia, la mimosa è diventata una pianta molto popolare negli anni ’40, quando è diventata il simbolo della Festa della Donna.

La Festa della Donna è una celebrazione internazionale che si tiene ogni anno l’8 marzo per commemorare la lotta delle donne per i loro diritti e per l’uguaglianza di genere. La mimosa è diventata il simbolo della festa a causa della sua fioritura invernale, che rappresenta la rinascita e la speranza per il futuro.

Le caratteristiche della mimosa

La mimosa è una pianta sempreverde che può raggiungere i 10 metri di altezza. Le sue foglie sono piccole e di un colore verde brillante, mentre i suoi fiori sono di un colore giallo dorato intenso. I fiori della mimosa hanno una forma sferica e sono molto profumati. La pianta fiorisce tra febbraio e marzo, proprio in tempo per la Festa della Donna.

La mimosa è una pianta molto resistente e facile da coltivare. Tuttavia, la sua fioritura è molto breve, dura solo alcune settimane, ma durante questo periodo, la pianta è una vera e propria meraviglia della natura.

Perché la mimosa rappresenta la festa della donna?

La mimosa è diventata il simbolo della Festa della Donna in Italia negli anni ’40, quando le donne italiane iniziarono a lottare per i loro diritti e per l’uguaglianza di genere. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la mimosa era l’unica pianta disponibile in gran quantità, e veniva usata per decorare le strade e le case delle donne.

La mimosa rappresenta la forza e la determinazione delle donne, che lottano per il loro futuro e per i loro diritti. Inoltre, il suo fiore giallo dorato rappresenta il sole, la luce e la speranza per il futuro.

La mimosa in altre culture

La mimosa è diventata un simbolo internazionale della lotta per i diritti delle donne, ed è stata adottata anche in altre culture. In Francia, ad esempio, la mimosa è il simbolo del movimento femminista, mentre in Russia, il 8 marzo è una festa nazionale, chiamata “Giornata Internazionale della Donna”, in cui la mimosa è il fiore tradizionale.

La mimosa è una pianta facile da coltivare e molto resistente, che può essere utilizzata anche per altri scopi oltre alla decorazione. L’estratto di mimosa viene utilizzato in profumeria per la produzione di profumi e oli essenziali, mentre le foglie e i fiori vengono utilizzati in erboristeria per la produzione di rimedi naturali.

Cultura e letteratura

La mimosa ha anche una valenza simbolica nella cultura e nella letteratura. In alcune culture, la mimosa rappresenta la dolcezza, l’amicizia e l’amore, mentre in letteratura è stata spesso utilizzata come metafora per rappresentare la bellezza e la fragilità della vita.

La Festa della Donna, celebrata il 8 marzo di ogni anno, è una festività molto importante in tutto il mondo. Questa festività è stata creata per commemorare la lotta delle donne per i loro diritti e per l’uguaglianza di genere. In molti paesi, la mimosa è diventata il simbolo ufficiale di questa festività e viene offerta come omaggio alle donne in questo giorno speciale.8 marzo mimosa simbolo festa della donna

Ma chi ha scelto la mimosa come simbolo della Festa della Donna?

La scelta della mimosa come simbolo della Festa della Donna risale al 1946, quando un gruppo di donne italiane, guidate da Teresa Mattei, decisero di creare una festa per commemorare la lotta delle donne per i loro diritti.

Per scegliere il simbolo della Festa della Donna, le donne italiane vollero trovare un fiore che fosse in grado di rappresentare i valori della festa, come la solidarietà, la lotta per i diritti e l’uguaglianza di genere. La scelta cadde sulla mimosa perché era una pianta molto diffusa in Italia, con una fioritura invernale molto rigogliosa e colorata.

Inoltre, la mimosa è anche un simbolo della rinascita e della speranza per il futuro, poiché fiorisce durante la stagione invernale, quando tutto sembra morto e sepolto sotto la neve. La mimosa, quindi, rappresenta perfettamente i valori della Festa della Donna, e fu scelta come simbolo ufficiale della festività.

Da allora, la mimosa è diventata il simbolo ufficiale della Festa della Donna in molti paesi del mondo, tra cui l’Italia, la Francia, la Spagna, la Russia e molti altri. Ogni anno, migliaia di mazzi di mimose vengono venduti in questi paesi per essere offerti come omaggio alle donne in occasione della festività.

Perché la festa della donna si festeggia l’8 marzo

La prima teoria

l’8 marzo 1908 un gruppo di donne lavoratrici della Triangle Shirtwaist Company, una fabbrica tessile di New York, organizzò una manifestazione per protestare contro le terribili condizioni di lavoro cui erano sottoposte. Le donne chiedevano salari più alti, orari di lavoro più umani e condizioni di lavoro più sicure.

La manifestazione, organizzata dal sindacato dei lavoratori dell’industria tessile, coinvolse migliaia di donne e fu una delle prime proteste organizzate dalle donne lavoratrici negli Stati Uniti. Tuttavia, la manifestazione si trasformò in un evento tragico quando la polizia intervenne per disperdere la folla e furono uccise 123 persone, di cui la maggior parte erano donne.

Questa manifestazione fu un evento significativo nella storia del movimento operaio e femminista negli Stati Uniti, e ha contribuito a portare l’attenzione pubblica sulle condizioni di lavoro precarie delle donne nell’industria tessile e in altri settori.

L’anno successivo, nel 1909, si tenne a New York la prima Giornata Nazionale della Donna, organizzata dal Partito Socialista d’America per richiamare l’attenzione sulle questioni delle donne e per chiedere diritti come il voto, l’uguaglianza di genere e il miglioramento delle condizioni di lavoro delle donne.

In seguito, il movimento per i diritti delle donne negli Stati Uniti continua a crescere e ad espandersi, fino a quando, nel 1975, l’8 marzo è dichiarato dalla Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti delle Donne come la Giornata Internazionale della Donna.

La seconda teoria

La seconda teoria vede l’8 marzo, come data della Festa della Donna per commemorare un evento storico che ha avuto luogo a San Pietroburgo nel 1917. In quell’anno, le donne russe si unirono in una manifestazione per chiedere pane e pace durante la Prima Guerra Mondiale. Questa manifestazione, che coinvolse migliaia di donne, fu un evento molto significativo nella storia del movimento femminista e della lotta per i diritti delle donne.

Secondo la teoria derivante da San Pietroburgo, l’8 marzo 1917 le donne russe scesero in strada per chiedere pane e pace durante la Prima Guerra Mondiale. La manifestazione, organizzata dalle donne operaie della fabbrica Putilov, fu un evento molto significativo nella storia del movimento femminista e della lotta per i diritti delle donne.

La manifestazione iniziò il 23 febbraio secondo il calendario giuliano (che corrisponde all’8 marzo secondo il calendario gregoriano) e durò diversi giorni. Le donne chiesero anche la fine della guerra e il ritorno dei loro mariti e figli dal fronte.

La manifestazione fu inizialmente pacifica, ma poi si trasformò in un evento molto violento, con scontri tra la polizia e i manifestanti. L’evento è considerato un importante punto di svolta nella storia della Russia, poiché contribuì alla caduta del governo zarista e alla nascita della Repubblica russa.

L’8 marzo divenne quindi la data ufficiale della Festa della Donna in molti paesi, tra cui la Russia e molti paesi dell’ex blocco sovietico. In questi paesi, l’8 marzo è ancora oggi una festa nazionale, durante la quale le donne sono celebrate e omaggiate.

La Storia della Bocca della Verità

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La Bocca della Verità è un’icona di Roma che attira visitatori da tutto il mondo. Questa grande maschera in marmo, posta sulla parete del portico della Chiesa di Santa Maria in Cosmedin, ha una storia affascinante che risale all’antica Roma. In questo articolo, esploreremo la storia della Bocca della Verità e il suo significato culturale.

Origine e scopo

La Bocca della Verità ha una storia molto antica e la sua origine esatta non è nota con certezza. Una delle teorie, sostiene che la maschera fosse originariamente un tombino, di preciso quello della cloaca massima utilizzato per incanalare l’acqua, dovute alle forti piogge, fino al Tevere passando per il tempio di Ercole. Altri sostengono servisse far defluire l’acqua piovana e abbassarne il livello, per impedire gli allagamenti durante le piene fluviali.

Le teorie e spiegazioni, come vedremo sono diverse. Secondo quanto abbiamo visto, questa teoria, la maschera funzionava come una sorta di filtro, consentendo all’acqua di defluire attraverso la sua bocca e i suoi occhi, impedendo quindi allagamenti.

Leggende e teorie sulla vera storia della bocca della verità

Esistono anche altre ipotesi sulle origini della Bocca della Verità. Alcuni studiosi sostengono che la maschera potrebbe essere stata un’antica statua romana, utilizzata come parte di un gioco olimpico o come simbolo di un culto pagano.

La teoria dei Commercianti

C’è chi sostiene che la Bocca della Verità fosse originariamente il coperchio di un pozzo sacro di fronte al tempio di Mercurio, dove i commercianti romani giuravano la loro lealtà durante le transazioni commerciali.

La fedeltà delle mogli

Esiste ancora, una teoria, secondo la quale il creatore della Bocca della Verità sarebbe stato Virgilio Grammatico. Uno scultore e mago che visse nel VI secolo d.C. a Roma. Secondo questa teoria, Virgilio avrebbe creato la maschera per testare la fedeltà delle donne.

La seconda teoria del pozzo:

Si sostiene anche che La Bocca della Verità fu originariamente realizzata come una copertura per un antico pozzo d’acqua situato vicino al “tempio di Ercole”, nel Foro Boario di Roma (luogo a lui dedicato poiché, secondo il mito romano, salvò i cittadini da un gigante di nome Caco).tempio di ercole fontana bocca della verità

Ciò che è sicuro, è che il suo nome deriva dalla credenza popolare secondo cui la maschera sarebbe stata in grado di rivelare la verità a chiunque vi inserisse la mano. Secondo la leggenda, se una persona mentiva mentre metteva la mano nella bocca della maschera, questa si sarebbe chiusa d’improvviso, tagliandogli la mano.

L’artista ufficiale è quindi ignoto, sappiamo con certezza però, che è stata scolpita nel I secolo d.C. e rappresenta un volto barbuto maschile con la bocca spalancata.

La Bocca della Verità nel Medioevo

Durante il periodo medievale, la Bocca della Verità divenne un simbolo di giustizia e di verità. Era spesso utilizzata in tribunale, dove si chiedeva ai testimoni di mettere la mano nella bocca per giurare la loro innocenza. Tuttavia, non esistono prove storiche che dimostrino che la maschera sia stata effettivamente utilizzata in questo modo.

Durante il Medioevo, la Bocca della Verità divenne anche un’importante fonte di ispirazione per gli artisti. Ad esempio, Dante Alighieri menziona la maschera nel suo poema “La Divina Commedia“, dove il protagonista Dante deve affrontare la maschera nella quarta bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno.

La Bocca della Verità oggi

Oggi è una delle attrazioni turistiche più famose di Roma. I visitatori si fanno fotografare mentre mettono la mano nella bocca della maschera, cercando di evitare il suo morso leggendario.

Tuttavia, come abbiamo detto, la veridicità della leggenda è stata messa in discussione da alcuni esperti. La bocca potrebbe essere stata utilizzata come copertura per un sistema idrico antico, ma non ci sono prove che dimostrino che fosse effettivamente in grado di rivelare la verità.

Il simbolo come cultura popolare

Nonostante ciò, la Bocca della Verità rimane un simbolo della cultura popolare romana e della sua storia antica. La maschera è stata anche utilizzata in molti film e programmi televisivi. Ad esempio: “Vacanze Romane” del 1953, dove Audrey Hepburn e Gregory Peck si divertono a mettere la mano nella bocca della maschera.

La Bocca della Verità è un’attrazione turistica unica e iconica di Roma. La sua storia affascinante, il suo fascino culturale la rendono una visita obbligata per chiunque visiti la città eterna. Nonostante la leggenda è stata messa in dubbio, la Bocca della Verità continua ad attirare visitatori da tutto il mondo, che vogliono cimentarsi nel test di veridicità.

Il restauro e il cambio posizione della Bocca della Verità

La maschera è stata restaurata molte volte nel corso dei secoli. Nel 1632 è stata spostata nella posizione attuale, nella Chiesa di Santa Maria in Cosmedin. Oggi è possibile visitare la chiesa e ammirare la Bocca della Verità, che è protetta da un cancello di ferro per preservarla dal contatto diretto dei visitatori.

Ma la Bocca della Verità non è solo una curiosità turistica. Questa maschera ha una storia importante che si intreccia con quella della città di Roma. La sua leggenda è tramandata di generazione in generazione e continua ad affascinare i visitatori di ogni età.

Per concludere, la Bocca della Verità è una delle attrazioni turistiche più famose di Roma e una testimonianza della sua storia antica. La leggenda che la circonda potrebbe non essere vera, ma il fascino che esercita su turisti e visitatori di tutto il mondo, continua ad essere forte. Se stai pianificando un viaggio a Roma, non puoi perderti l’occasione di visitare la Bocca della Verità e scoprire il suo fascino unico.

Storia dell’evoluzione dell’abbigliamento da ciclismo

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L’abbigliamento da ciclismo è cambiato drasticamente nel corso della storia, passando da abiti pesanti e poco adatti all’attività a tessuti leggeri e traspiranti che favoriscono la performance. L’evoluzione dell’abbigliamento da ciclismo ha seguito l’evoluzione stessa della bicicletta, passando da un mezzo di trasporto per pochi a uno sport praticato in tutto il mondo. In questo articolo, esploreremo la storia dell’abbigliamento da ciclismo e come è cambiato nel corso degli anni.

Evoluzione dell’abbigliamento da Ciclismo

Prima dell’avvento dell’abbigliamento specifico per il ciclismo, i ciclisti indossavano abiti pesanti e poco adatti all’attività. I primi ciclisti, come ad esempio i messaggeri di città, indossavano abiti comuni, come giacche invernali e cappotti, che spesso ostacolavano il movimento e la libertà di movimento. Nel corso degli anni, la bicicletta ha subito molti cambiamenti e, di conseguenza, anche l’abbigliamento da ciclismo è cambiato.

Ciclismo: come è cambiato l’abbigliamento dal 1900 al 2000

All’inizio del 1900, gli abiti da ciclismo erano costituiti da pantaloni di lana e giacche pesanti. Questi abiti erano poco confortevoli e poco adatti all’attività fisica, ma erano l’unica opzione disponibile all’epoca. Nel 1930, le cose cominciarono a cambiare quando vennero introdotti i primi tessuti sintetici come il nylon e il poliestere. Questi tessuti erano leggeri, traspiranti e permettevano al ciclista di muoversi con maggior facilità.

Negli anni ’60, la bicicletta divenne uno sport popolare in tutto il mondo e l’abbigliamento da ciclismo si sviluppò in modo esponenziale. Vennero introdotti tessuti ancora più avanzati come il Gore-Tex e la Lycra, che erano altamente traspiranti e resistenti all’acqua. Questi tessuti furono adottati anche dai ciclisti professionisti e, di conseguenza, l’abbigliamento da ciclismo divenne sempre più tecnologico e specializzato.

Negli anni ’80, il look aerodinamico divenne popolare grazie ai successi degli atleti professionisti, come Greg LeMond. Vennero introdotti abiti aderenti al corpo e caschi aerodinamici, che consentivano di migliorare le prestazioni sui percorsi a cronometro. Negli anni ’90, la tecnologia dei tessuti continuò a evolversi, con l’introduzione di tessuti altamente traspiranti e termici. Questi tessuti consentivano ai ciclisti di affrontare condizioni climatiche estreme, come il freddo e la pioggia.

Negli anni 2000, l’abbigliamento da ciclismo subì un’altra grande trasformazione grazie all’avvento delle tute intere. Questi abiti, noti come skinsuit, erano aderenti al corpo e privi di cuciture, il che riduceva la resistenza dell’aria e consentiva agli atleti di ottenere tempi migliori sui percorsi pianeggianti. Inoltre, vennero introdotti tessuti altamente tecnologici come il carbonio, che consentivano di ottenere un’ottima traspirabilità e resistenza, senza sacrificare la leggerezza.

Le caratteristiche utilizzate oggi

Oggi, l’abbigliamento da ciclismo è diventato molto tecnico e specializzato, con tessuti altamente traspiranti, resistenti e aderenti al corpo. I ciclisti professionisti indossano tute personalizzate, progettate per adattarsi alle loro esigenze specifiche, come la riduzione della resistenza dell’aria e l’ottimizzazione della traspirabilità.

L’abbigliamento da ciclismo non è solo funzionale, ma anche esteticamente piacevole. I colori sgargianti e i design accattivanti sono diventati una parte importante dell’abbigliamento da ciclismo, grazie alla popolarità delle competizioni e delle gare di ciclismo. Inoltre, l’abbigliamento da ciclismo è diventato molto popolare tra i ciclisti amatoriali, grazie alla sua funzionalità e al suo look sportivo.

Ha subito un’evoluzione significativa nel corso degli anni, passando da abiti pesanti e poco adatti all’attività a tessuti leggeri e altamente tecnologici, progettati per migliorare le prestazioni dei ciclisti professionisti e amatoriali. Grazie all’avvento di nuovi tessuti e tecnologie, l’abbigliamento da ciclismo continua ad evolversi, offrendo sempre migliori prestazioni e comfort.

Gli accessori utilizzati nel ciclismo

Oltre ai tessuti e alle tecnologie utilizzati, l’evoluzione dell’abbigliamento da ciclismo ha visto anche l’introduzione di accessori specifici, progettati per migliorare la performance e la sicurezza del ciclista. Tra questi accessori troviamo caschi aerodinamici, occhiali da sole, guanti, scarpe e copriscarpe termici.

I caschi aerodinamici sono diventati sempre più popolari negli ultimi anni, grazie alla loro capacità di ridurre la resistenza dell’aria e di migliorare le prestazioni del ciclista. Gli occhiali da sole, invece, non solo proteggono gli occhi dai raggi UV, ma possono anche migliorare la visibilità in condizioni di forte luce solare. I guanti sono utili per proteggere le mani in caso di cadute e per fornire una presa migliore sul manubrio. Le scarpe da ciclismo, invece, sono progettate per fornire un supporto adeguato al piede e per migliorare la trasmissione della forza sui pedali.

Inoltre, i copriscarpe termici sono utili per proteggere i piedi dal freddo e dalla pioggia durante le uscite invernali. Questi accessori sono progettati per adattarsi alle scarpe da ciclismo e offrire una maggiore protezione termica.

Negli ultimi anni, sono diventati sempre più popolari gli indumenti compressivi. Questi capi, come i calzini compressivi o i pantaloncini compressivi, sono progettati per migliorare la circolazione sanguigna e ridurre la fatica muscolare durante l’attività fisica. Gli indumenti compressivi sono particolarmente utili per i ciclisti che affrontano lunghe distanze o competizioni.

In conclusione, l’abbigliamento da ciclismo è diventato molto specializzato e tecnico, grazie all’introduzione di tessuti e tecnologie avanzate, nonché di accessori specifici. Grazie a queste innovazioni, i ciclisti professionisti e amatoriali possono godere di un’esperienza di guida sempre più confortevole, sicura e performante.

L’abbigliamento diverso per ogni disciplina

abbigliamento da ciclismo mountain bikeOltre ai tessuti tecnici e agli accessori, l’abbigliamento da ciclismo ha anche visto l’introduzione di tagli e design specifici per adattarsi alle diverse discipline del ciclismo. Ad esempio, l’abbigliamento da ciclismo per la mountain bike è progettato per resistere alle abrasioni e alle cadute, mentre l’abbigliamento da ciclismo su strada è più orientato alla riduzione della resistenza dell’aria e alla traspirabilità.

Inoltre, l’abbigliamento da ciclismo ha anche un ruolo importante nella sicurezza del ciclista. Ad esempio, l’abbigliamento con colori sgargianti e riflettenti può migliorare la visibilità del ciclista sulla strada, soprattutto in condizioni di scarsa luminosità. Allo stesso modo, la presenza di bande riflettenti sui pantaloni, sui guanti o sulle scarpe da ciclismo può aiutare a segnalare la presenza del ciclista agli altri utenti della strada.

L’evoluzione dell’abbigliamento da ciclismo è attenta anche all’impatto ambientale. Negli ultimi anni, molti produttori di abbigliamento da ciclismo si sono impegnati a utilizzare tessuti ecologici e sostenibili, come il poliestere riciclato o il cotone biologico. Inoltre, molte aziende hanno adottato processi di produzione a basso impatto ambientale e si sono impegnate a ridurre gli sprechi di tessuti e materiali.

Per finire, l’abbigliamento da ciclismo ha subito un’evoluzione significativa, passando da abiti pesanti e poco funzionali a capi tecnici e specializzati, progettati per migliorare le prestazioni e la sicurezza del ciclista. Grazie all’uso di tessuti tecnici, accessori specifici e design adattati alle diverse discipline del ciclismo, l’abbigliamento da ciclismo è diventato una parte essenziale dell’attrezzatura di ogni ciclista. Inoltre, l’attenzione sempre maggiore verso l’impatto ambientale ha portato molte aziende a investire in tessuti e processi di produzione sostenibili.

Cosa vedere a Murano

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Murano è un’isola veneziana famosa in tutto il mondo per la lavorazione del vetro, una tradizione che risale almeno al XIII secolo. La storia di Murano è strettamente legata alla produzione di questi manufatti, che hanno reso l’isola una delle più importanti capitali del vetro al mondo.

Oltre alla lavorazione del vetro, Murano offre molto a chi la visita per raccontare la sua storia, come il Museo del Vetro, dove è possibile ammirare una vasta collezione di opere in vetro antico e moderno. Murano fa parte delle famose “sette isole”, un gruppo di isole che circondano la città di Venezia e che comprendono anche Burano, famosa per le sue colorate case e per la produzione del merletto.

Ma cosa vedere a Murano? Oltre al Museo del Vetro, si possono visitare le numerose fornaci e botteghe di vetro presenti sull’isola, dove si può assistere alla lavorazione del vetro dal vivo. Nel centro storico ci sono le chiese più antiche e suggestive della laguna veneta, come la Basilica di Santa Maria e San Donato.

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Le sette isole di Murano

museo del vetroMurano è composta da sette isole che sono collegate da numerosi ponti. Le sette isole di Murano sono: San Donato, San Pietro Martire, Sacca Serenella, Santa Maria degli Angeli, San Stefano, San Bernardo e San Martino Sinistro. Le sette isole sono ora collegate da ponti e formano un’unica entità. In pratica, la maggior parte dei visitatori si riferisce semplicemente all’isola di Murano come ad una singola destinazione.museo del vetro, canal grande, murano, burano, venezia

La maggior parte delle attrazioni principali dell’isola si trovano lungo il Canal Grande di Murano, che attraversa l’isola. Una delle principali attrazioni del Canal Grande è il Palazzo da Mula, un edificio del XV secolo che ospita il Museo del Vetro (Sito web ufficiale per le informazioni e prenotazioni).

Il museo del vetro di Murano

Il Museo del Vetro di Murano è un must per chiunque visiti l’isola. Il museo espone una vasta collezione di oggetti in vetro che vanno dal periodo antico fino ai giorni nostri. Inoltre, il museo offre dimostrazioni dal vivo di lavorazione del vetro e visite guidate ai laboratori di vetro dell’isola.

Oltre al Museo del Vetro, Murano ospita anche il Museo del Merletto, che espone antichi merletti di Burano, un’altra isola della laguna di Venezia. Il merletto di Burano è famoso in tutto il mondo per la sua lavorazione intricata e dettagliata, che richiede grande abilità e pazienza.

Oggi, Murano è una delle mete turistiche più popolari della laguna di Venezia. Tra le attrazioni principali dell’isola ci sono le fornaci e i laboratori di vetro, dove è possibile assistere alla lavorazione del vetro da parte dei maestri vetrai.

Come arrivare a Murano da Venezia

Per arrivare a Murano dalla città di Venezia, si può prendere un vaporetto dalla stazione di Fondamenta Nuove o da Piazzale Roma. Il viaggio dura circa 20 minuti e offre una vista panoramica sulla laguna di Venezia.

Una volta a Murano, ci sono molti posti da visitare. Tra i più importanti ci sono il Museo del Vetro, dove è possibile ammirare una vasta collezione di oggetti in vetro, e la Chiesa di Santa Maria e San Donato, con i suoi mosaici bizantini e il campanile in stile romanico.

Inoltre, Murano è famosa per i suoi negozi di vetro, dove è possibile acquistare oggetti di design unici e originali. Infine, non si può visitare Murano senza assistere alla lavorazione del vetro nei laboratori, dove i maestri vetrai creano i loro capolavori utilizzando tecniche tradizionali tramandate di generazione in generazione.

Quanto tempo ci vuole per visitare Murano?

La visita a Murano può durare da un paio d’ore a una giornata intera, a seconda del tempo a disposizione e degli interessi del visitatore. In generale, si consiglia di dedicare almeno mezza giornata per poter apprezzare appieno le bellezze dell’isola.

La storia di Murano

La storia di Murano risale al 1291, quando il Senato della Repubblica di Venezia ordinò ai vetrai di trasferire le loro fornaci sull’isola di Murano per evitare incendi nella città di Venezia. Da quel momento in poi, Murano divenne il centro della produzione del vetro e fu sede di alcuni dei più grandi maestri vetrai d’Europa.

Murano è famosa per la sua produzione di vetro, ma la città ha anche una lunga e ricca storia. Nel corso dei secoli, Murano è stata teatro di numerosi avvenimenti storici. Durante il Medioevo, l’isola fu un importante centro commerciale grazie alla sua posizione strategica nella laguna di Venezia. Nel XVIII secolo, Murano divenne un importante centro di produzione di specchi, un’arte che richiedeva competenze molto simili a quelle della lavorazione del vetro.

Ma la storia di Murano è stata anche segnata da disastri e tragedie. Nel 1861, un incendio distrusse gran parte della città e causò la morte di numerose persone. Dopo questo tragico evento, la città venne ricostruita e le nuove costruzioni rispecchiarono l’architettura veneziana dell’epoca.

Le perle di vetro di Murano

Oltre alla produzione di vetro, Murano è famosa anche per la sua produzione di perle di vetro. Nel XVI secolo, le perle di Murano erano molto popolari in Europa e venivano utilizzate per decorare abiti e gioielli. Ancora oggi, Murano produce perle di vetro di alta qualità e le vendite rappresentano una parte importante dell’economia dell’isola.

Uno degli aspetti più affascinanti di Murano è la sua architettura. Le case e le chiese dell’isola sono decorate con mosaici e affreschi che risalgono all’epoca bizantina. La Chiesa di Santa Maria e San Donato è uno dei migliori esempi di questa architettura, con i suoi mosaici dorati e il pavimento a mosaico che risale al XII secolo.

Ma Murano è anche una città moderna e vivace, con numerosi ristoranti, bar e caffè dove è possibile gustare la cucina veneziana e sorseggiare un bicchiere di vino della regione. Inoltre, l’isola ospita numerosi eventi culturali durante tutto l’anno, tra cui mostre d’arte e concerti.

I laboratori del vetro di Murano

Per quanto riguarda i laboratori di vetro, ci sono molte opportunità per assistere alla lavorazione del vetro a Murano. Molti laboratori sono aperti al pubblico e offrono visite guidate per mostrare la lavorazione del vetro da parte dei maestri vetrai. Inoltre, ci sono numerose gallerie e negozi dove è possibile acquistare oggetti di vetro prodotti a Murano.

Una visita a Murano è un’esperienza unica e indimenticabile per chiunque voglia scoprire la bellezza della laguna di Venezia e delle sue tradizioni artigianali.

Come nasce il carnevale

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Il carnevale è una delle feste più colorate e divertenti del mondo, ma la sua storia è molto più antica di quanto si possa pensare. Il carnevale ha radici che risalgono all’antichità e ha subito molte trasformazioni nel corso dei secoli.

Le origini del carnevale possono essere rintracciate dal Navigium Isidis fino alla festa romana delle Saturnalia, che si svolgeva ogni anno a dicembre. Durante le Saturnalia, i romani si concedevano giorni di eccessi e di festeggiamenti, scambiavano regali e facevano sfilare carri allegorici per le strade.

Carnevale Cristiano

Il carnevale cristiano ha le sue origini nel Medioevo, quando la Chiesa Cattolica ha introdotto la festa della Quaresima. La Quaresima è il periodo di 40 giorni che precede la Pasqua, durante il quale i cristiani si astengono da cibi ricchi e attività ludiche in segno di penitenza. Per i cristiani del Medioevo, il carnevale rappresentava l’ultima occasione per godere della vita prima dell’inizio della Quaresima.

Le città del Carnevale

Il carnevale ha assunto diverse forme in diversi paesi, ma ha sempre avuto in comune l’idea di celebrare la vita e la gioia prima del periodo di penitenza della Quaresima. In Italia, il carnevale ha radici antiche, risalenti al Rinascimento, quando le feste mascherate erano molto popolari. Il Carnevale di Venezia, con le sue maschere elaborate e i costumi eleganti, è diventato uno dei più famosi del mondo.

In America Latina, il carnevale è una celebrazione molto importante, soprattutto in Brasile. Il carnevale brasiliano è caratterizzato da sfilate di carrozze e balli di strada, e attira turisti da tutto il mondo.

Vediamo però le origini più remote del carnevale partendo dagli Egizi, seguiamo poi come gli Antichi Romani ne abbiamo copiato alcuni aspetti fino ad arrivare a come lo conosciamo oggi.

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Il Navigium Isidis l’origine della storia prima che diventi Carrus Navalis

Il Carnevale moderno ha le sue origini nel Navigium Isidis, un’antica cerimonia in maschera che celebrava la dea Iside e la sua capacità di far risorgere il suo sposo Osiride dopo aver viaggiato per terre, fiumi e mari alla ricerca delle parti del suo corpo smembrato. Questo rito simboleggiava la morte e la resurrezione, e si teneva durante il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera, che coincideva con il periodo della Pasqua cattolica.tempio iside carrus navalis navigium isidis

La celebrazione veniva diffusa in tutto l’impero romano nel 150 d.C., ma aveva origini più antiche in Egitto. Durante il Navigium Isidis, un corteo in maschera si svolgeva intorno a un’immagine della dea Iside su un’immaginaria nave di legno chiamata Carrus Navalis, che veniva decorata con fiori e omaggi floreali.

Apuleio racconta

La descrizione del Navigium Isidis è stata fatta da Apuleio nel suo romanzo “Le Metamorfosi”, e le Navi di Nemi dell’imperatore Caligola erano probabilmente dedicate a questo rito, poiché corrispondono alla descrizione di Apuleio.

I festeggiamenti del Navigium Isidis erano molto simili al Carnevale moderno, in cui le persone indossavano maschere e si godevano la gioia di vivere, anche se erano consapevoli della fredda morte. La dea Iside era anche la Protettrice dei Naviganti e la Barca Lunare era la nave per eccellenza, utilizzata per traghettare i defunti dal regno dei vivi al regno dei morti.

Anche se la Chiesa ha aggiunto alcune tradizioni al Carnevale per differenziarlo dal rito pagano, molte delle sue origini possono essere rintracciate nel Navigium Isidis e nella sua celebrazione della morte e della rinascita.

Il Carrus Navalis dei Romani

Questo rito, anche nell’antica Roma dedicato alla dea Iside, che, come anticipato, secondo la leggenda, viaggiava per mari alla ricerca del suo sposo Osiride. In onore di questa festa, si utilizzava un carro navale, noto come carrus navalis, che veniva portato in processione. Custodito all’interno del Tempio per tutto l’anno veniva sfoggiato in questa occasione.

Affresco del 210 d.C. raffigurante il Carrus Navalis – rinvenuto nella città di Ostia Antica

Nella versione romana del Navigium Isidis, in contrasto con la versione egizia originale, venne introdotto un elemento di allegria accompagnato dalla beffa. Spesso venivano rappresentati personaggi influenti dell’epoca, come l’Imperatore, i Senatori o i Generali, che venivano caricaturati. I romani avevano la consuetudine di scherzare sui potenti e, nonostante qualche imperatore non gradisse, non fu mai possibile frenare questo sarcasmo.

L’arrivo della primavera e l’inizio del periodo di navigazione

La Festa del Navigium Isidis era associata all’inizio del periodo della navigazione, che iniziava in primavera. In questo periodo, i marinai si preparavano ad affrontare il mare dopo l’inverno, e la festa del Navigium Isidis serviva proprio a inaugurare questo periodo. La processione del carro navale dal tempio al fiume e poi fino al mare, era quindi simbolica della preparazione dei marinai per l’inizio della stagione di navigazione.

Ma c’era un altro elemento importante del Navigium Isidis, ovvero la morte. La morte rendeva gli uomini tutti uguali, per cui tutti erano ammessi alla festa e al corteo, inclusi gli schiavi e i bambini. Soprattutto nella festa romana, lunghe processioni di persone mascherate seguivano la barca cantando e ballando.  Delle tappe permettevano ai giullari di comporre sceneggiate, esibizioni di balli, e danze collettive.

Tutta la gente si travestiva per onorare il Navigium Isidis, che portava una grande cassa ermeticamente chiusa, simbolo della morte sconosciuta. Le prostitute non potevano mancare mostrando la loro bellezza e le donne romane, con i loro gioielli tintinnanti, non erano da meno. Anche le matrone abbandonavano il loro abbigliamento tradizionale in quei giorni e si scatenavano nelle libagioni e nelle vesti scollate, e nessuno le giudicava per questo, data l’occasione. Del resto, di fronte alla morte, cadono molte critiche e molti pregiudizi.

Le similitudine tra il Carnevale Romano e quello “religioso”.

La metamorfosi di questo ritro riscontra delle similitudini tra la Dea Iside e la Maria celebrata nel periodo di inaugurazione alla scesa in mare dei pescatori. Ma alcuni sostengano fermamente un’altra tesi.

L’etimologia e la derivazione della parola “carnevale” trova radici nella lingua latina, dalla quale deriva il termine “carnelevare” o “carnem levare”, che significa “levare la carne”. Questo termine si riferisce alla pratica di astenersi dal mangiare carne durante la Quaresima, periodo di penitenza che inizia il mercoledì delle Ceneri e dura 40 giorni fino alla Pasqua.

Il digiuno della Quaresima

Durante il carnevale, dunque, le persone si concedevano l’ultimo sfizio di mangiare carne prima dell’inizio della Quaresima, poiché durante questo periodo il consumo di carne era proibito dalla Chiesa. La parola carnevale, quindi, è legata alla pratica religiosa della Quaresima, durante la quale i cristiani erano tenuti a fare penitenza e a limitare le loro attività ludiche.

La festa del carnevale si è sviluppata principalmente in Italia, e ha avuto una forte influenza anche nello stato pontificio, che comprendeva gran parte dell’Italia centrale dal 754 al 1870. Durante il periodo dello stato pontificio, il carnevale divenne una festa molto popolare, caratterizzata da sfilate di carri allegorici, balli in maschera e spettacoli di fuochi d’artificio.

Tuttavia, con l’avvento della Repubblica romana nel 1849, la Chiesa ha cercato di limitare le celebrazioni del carnevale, poiché le considerava troppo sfrenate e immorali. Inoltre, durante il periodo del fascismo, il carnevale fu messo al bando poiché considerato un’attività inutile e non produttiva.

La durata del carnevale: Il mercoledì delle ceneri

I festeggiamenti principali si svolgono il Martedì grasso e il Giovedì grasso, ovvero l’ultimo martedì e l’ultimo giovedì prima dell’inizio della Quaresima, nei giorni di Marte e di Giove. In particolare, il Giovedì grasso rappresenta il giorno di chiusura dei festeggiamenti carnevaleschi, poiché la Quaresima inizia con il Mercoledì delle ceneri.

Nel Mercoledì delle Ceneri, il sacerdote distribuisce cenere sulla testa dei fedeli, pronunciando le parole: “Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris”, ovvero “Uomo, ricorda che sei polvere e polvere tornerai”.L’antico rito pagano, che invitava ad accettare i cicli della vita e della morte, è stato abbandonato e sostituito dal rito cattolico.

Altre fonti ci indicano invece  che il carnevale abbia le sue radici negli Antesteria greci e nei Saturnali romani.

Le Anesteria Greche

Le Anesterie greche, conosciute anche come le festività di Antesterione, si celebravano tra febbraio e marzo e si credeva che durante questo periodo il carro di colui che avrebbe restaurato il cosmo dopo il ritorno al caos primordiale passasse.

La festa durava tre giorni e iniziava ufficialmente al tramonto del primo giorno, quando tutto veniva trasportato nella zona del santuario e si onorava il dio con le prime libagioni (Significato di libagioni: offerta sacrificale di bevande). Il vino nuovo veniva bevuto con il proprio boccale e partecipavano anche i bambini e gli schiavi, dimostrando che la festa era per tutti.

Il 12 di Antesterione, l’atmosfera di allegria e euforia cambiava quando i fantasmi, noti come Cari e considerati gli antichi abitanti dell’Attica, comparivano. Per proteggersi, le porte venivano cosparsa di pece, venivano comprati rametti di biancospino e i templi restavano chiusi. In questo giorno si usavano maschere e vi erano cortei con carri.

Il 13 di Antesterione era il giorno delle pentole, in cui venivano cotti insieme cereali e miele. Veniva offerta ai morti la cosiddetta panspermìa, una torta impastata con il seme di ogni pianta. Infine, si sacrificava ad Ermes “ctonio” per amore dei morti e si mangiava dai pentoloni nella speranza di una vita riconquistata. Questa nuova vita iniziava con degli agoni. Il giorno della contaminazione finiva così e divenne proverbiale l’esclamazione “fuori, o Cari, le Anesterie sono finite”.

Cos’erano i Saturnali

I Saturnali erano una festa antica e molto importante nella Roma antica. La festa si svolgeva a dicembre in onore del dio Saturno, il dio dell’agricoltura, e durava sette giorni.

I Saturnali rappresentavano un periodo di allegria e festeggiamenti per i Romani. Durante la festa, le regole sociali e le gerarchie venivano rovesciate, e per un breve periodo gli schiavi potevano godere di libertà e privilegi come i loro padroni. Questa inversione delle regole sociali, era un modo per celebrare l’eguaglianza tra gli uomini e per esprimere il senso di comunità che univa l’intera società romana.

Durante i Saturnali, le strade erano piene di gente che cantava, ballava e faceva baccano, e i mercati erano pieni di cibo e bevande. Gli abitanti di Roma si scambiavano doni, specialmente candele e pupazzi di cera, e partecipavano a banchetti e festeggiamenti.

La festa culminava il 25 dicembre con la festa del Sol Invictus, il dio del sole, che rappresentava la rinascita della luce dopo il solstizio d’inverno. Con il passare del tempo, i Saturnali furono gradualmente assimilati dalle celebrazioni cristiane del Natale, che mantengono ancora oggi molte delle tradizioni e dei riti antichi. Tuttavia, l’atmosfera di allegria e solidarietà che caratterizzava i Saturnali rimane un importante ricordo della cultura romana antica.

I Parentalia, i Feralia e i Terminalia erano tre feste religiose dell’antica Roma che celebravano i morti e le divinità protettrici delle proprietà terriere e dei confini.

I Parentalia si svolgevano dal 13 al 21 di febbraio e prevedevano una serie di riti e offerte funerarie per onorare i propri antenati. Era un momento molto importante per la religione romana, in cui si cercava di placare gli spiriti dei morti con offerte di cibo e di fiori nei loro luoghi di sepoltura. Durante questi giorni, le famiglie romane visitavano le tombe dei loro cari, dove sistemavano e decoravano le pietre tombali. Inoltre, il 21 febbraio, era celebrato il Caristia, una sorta di pranzo familiare per rinsaldare i legami tra parenti.

I Feralia, invece, si celebravano il 21 febbraio e rappresentavano il culmine dei Parentalia. Durante questa festa, le famiglie romane, offrivano sacrifici ai loro antenati, si davano loro il permesso di lasciare temporaneamente il regno dei morti per visitare i loro discendenti. Era anche una festa di purificazione, in cui le tombe venivano pulite e decorate con fiori.

I Terminalia, infine, si svolgevano il 23 di febbraio e celebravano il dio Terminus, il protettore dei confini. In questo giorno, le persone si riunivano per rinnovare i confini tra le proprietà terriere e per rendere omaggio al dio Terminus con offerte di cibo e di vino. La festa aveva anche un significato simbolico importante, poiché si riteneva che il mantenimento dei confini fosse fondamentale per la stabilità della società.

Queste tre celebrazioni o festività, rappresentavano tre momenti importanti dell’anno in cui si celebravano i morti e le divinità protettrici dei confini e delle proprietà terriere. Le festività si svolgevano in un periodo preciso dell’anno, tra il 13 e il 23 febbraio. Avevano un significato profondo sia dal punto di vista religioso che simbolico.

Come si calcola quando si festeggia il carnevale?

Il carnevale è una festa che cade ogni anno il martedì grasso, ovvero il giorno prima dell’inizio della Quaresima cristiana. La data del carnevale dipende quindi dalla data della Pasqua, che a sua volta dipende dal ciclo lunare.

La Pasqua cade sempre nella prima domenica successiva al primo plenilunio di primavera, ovvero alla prima luna piena che compare dopo l’equinozio di primavera. In base a questo calcolo, la data della Pasqua può variare dal 22 marzo al 25 aprile.

Essendo il martedì grasso il giorno prima dell’inizio della Quaresima, il periodo del carnevale varia di conseguenza. Il carnevale comincia solitamente il giovedì precedente il martedì grasso, con il giovedì grasso appunto, e dura fino al martedì grasso stesso.

Cosa vedere a Bologna

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Bologna è una città ricca di storia, arte e cultura. Famosa per la sua architettura medievale, università e cucina regionale. In questo articolo vediamo cosa vedere a Bologna in una panoramica dei migliori luoghi da visitare e delle particolarità che caratterizzano la città.

INDICE:

Cosa vedere a Bologna?

I. Architettura medievale

  • La Torre degli Asinelli: una delle due torri più famose di Bologna, che offre una vista panoramica della città
  • Piazza Maggiore: una delle piazze più grandi e iconiche di Bologna, circondata da edifici storici come il Palazzo Comunale e la Basilica di San Petronio
  • Le Due Torri: uno dei simboli di Bologna, situato all’estremità della Piazza Maggiore

II. Arte e cultura

  • Museo Civico Archeologico: un museo che ospita una vasta collezione di artefatti che risalgono all’antichità
  • Galleria d’Arte Moderna di Bologna: una delle più importanti gallerie d’arte contemporanea in Italia, che ospita una vasta collezione di opere d’arte moderna
  • Teatro Comunale: uno dei teatri più importanti e antichi di Bologna, che ospita spettacoli di musica classica, opera e balletto

III. Storia e tradizione

  • La Basilica di San Petronio: una delle basiliche più grandi e antiche di Bologna, che ospita una vasta collezione di opere d’arte sacra
  • La Chiesa di San Francesco: una delle chiese più antiche e importanti di Bologna, nota per la sua architettura gotica e le opere d’arte che ospita
  • Palazzo Comunale: un edificio storico che ospita la sede del Comune di Bologna e il Museo Civico d’Arte Medievale

IV. Cucina e gastronomia

  • Il Mercato di Mezzo di Bologna è un luogo storico e caratteristico situato nel cuore della città, noto per la sua vasta scelta di prodotti alimentari di alta qualità, tra cui salumi, formaggi, pane, tortellini fatti al momento, dolci e vino. Offre inoltre una varietà di ristoranti e bar dove è possibile gustare piatti tipici della cucina bolognese e sorseggiare un bicchiere di vino locale.
  • Mercato delle Erbe: uno dei mercati più antichi e famosi di Bologna, dove è possibile acquistare prodotti freschi e local
  • Trattoria La Traviata: una delle trattorie più famose di Bologna, nota per la sua cucina casalinga e i suoi piatti tradizionali
  • Osteria del Sole: uno dei ristoranti più antichi e famosi di Bologna, conosciuto per la sua cucina regionale e la sua atmosfera accogliente

La Fontana del Nettuno:

Questa fontana, situata in Piazza del Nettuno, è uno dei tesori più nascosti di Bologna. Costruita nel 1563, la Fontana del Nettuno è considerata una delle opere d’arte più belle della città. Ma non è solo la sua bellezza a rendere questa fontana uno dei segreti più interessanti di Bologna. La leggenda vuole che, se una persona riesce a prendere una moneta con la mano e a tuffarla nella fontana, esaudirà i suoi desideri.fontana del nettuno bologna

La Biblioteca dell’Archiginnasio:

Questa biblioteca, situata nel cuore del centro storico di Bologna, è uno dei tesori nascosti della città. Fondata nel 1604, la Biblioteca dell’Archiginnasio è considerata una delle biblioteche più antiche d’Europa. Ospita una vasta collezione di libri e manoscritti, molti dei quali sono risalenti al XV secolo. La biblioteca è anche famosa per i suoi soffitti affrescati e per la sua architettura in stile barocco.

Le gallerie di via Zamboni:

Queste gallerie, situate nella zona universitaria di Bologna, sono uno dei segreti più interessanti della città. Costruite nel XIX secolo, le gallerie di via Zamboni sono una rete di corridoi sotterranei che attraversano la zona universitaria. Queste gallerie sono state utilizzate come rifugio durante la seconda guerra mondiale e oggi sono aperte al pubblico per visite guidate. Le gallerie di via Zamboni offrono un’opportunità unica di esplorare una parte nascosta della storia di Bologna.

La Torre degli Asinelli:

La Torre degli Asinelli è una delle due torri più famose di Bologna. Costruita nel medioevo, questa torre è alta circa 97 metri e offre una vista panoramica mozzafiato sulla città. La Torre degli Asinelli è diventata uno dei simboli di Bologna e rappresenta l’orgoglio della città. I visitatori possono salire i suoi 498 gradini per godere della vista dall’alto, ma è importante notare che l’accesso alla torre può essere limitato in determinati periodi dell’anno.

QUALI SONO I 7 SEGRETI DI BOLOGNA

I 7 segreti di Bologna sono in dei luoghi suggestivi, che raccontano un po’ la vita della città. Oltre a conoscerli vale la pena andare a visitarli per scoprire la storia e le curiosità che li circondano. Questi segreti sono situati in diversi punti di Bologna, e la loro scoperta può essere un’occasione per esplorare la città e le sue bellezze meno note.

PANIS VITA CANABIS PROTECTIO

Lungo Via Indipendenza poco dopo l’incrocio con Via Rizzoli. Alzando lo sguardo, si possono ammirare gli affreschi sui voltoni sotto la Torre Scappi, tra cui si trova la scritta “Canabis Protectio”. Mentre alcuni credono che questo motto si riferisca agli effetti benefici della canapa, in realtà ha un significato diverso. In passato, il commercio della canapa a Bologna era prospero e questo portava grande ricchezza alla città, da cui il detto “la canapa fornisce protezione”. Questa è una curiosità che ci offre uno sguardo sul passato dell’economia cittadina. La scritta completa, “Panis vita, canabis protectio, vinum laetitia”, ossia “Il pane è vita, la canapa è protezione, il vino è allegria”, fa riferimento alla ricchezza che la coltivazione della canapa ha portato a Bologna ed è situata su Via Indipendenza, quasi all’angolo con Via Rizzoli, sotto la Torre Scappi, sulla volta del Canton de’ Fiori.

LA STATUA DEL NETTUNO

Nella piazza di fronte a Salaborsa si trova una bellissima fontana con una maestosa statua di Nettuno. Giambologna, l’artista che la creò, utilizzò un interessante effetto prospettico per enfatizzare le dimensioni dei genitali del dio del mare. Il risultato di questo stratagemma si può vedere dalla pietra nera, chiamata Pietra della Vergogna, posta nella piazza antistante.

Osservando la statua di Nettuno dal punto giusto, vicino alla scalinata della biblioteca, si può vedere un effetto ottico che rende il pollice del dio del mare simile a un fallo in erezione. Non è noto il motivo che spinse l’artista a creare questo effetto, ma lasciamo che ogni persona abbia la propria risposta.

La fontana di Nettuno, che dà il nome alla piazza, rappresenta un’opera d’arte che, come molte altre opere d’arte italiane, nasconde segreti e particolari nascosti. Già Leonardo da Vinci, ad esempio, aveva usato simili espedienti per sfuggire alle restrizioni imposte dalla chiesa cattolica. In ogni caso, ammirare la fontana di Nettuno con il suo simpatico effetto ottico è un’esperienza che vale la pena vivere.

PANUM RESIS:

Nella zona universitaria di Bologna, in via Zamboni, si può trovare un altro segreto: una cattedra universitaria incisa con la frase “Panum resis”. La scritta latina sottolinea l’importanza della conoscenza per prendere decisioni, il che è molto appropriato per la sede dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, nota come la Dotta (oltre che “la Grassa”).  Questa è un’altra testimonianza dell’importanza che la conoscenza ha avuto nella storia dell’università più antica d’Europa e rappresenta un’altra interessante scoperta per chi vuole conoscere a fondo la città di Bologna.

La finestrella che affaccia su “Venezia”.finestrella bologna piccola venezia

A Bologna c’è una “Piccola Venezia” o meglio nota come “La Finestrella”. Si trova a via Piella, una traversa di via Augusto Righi, e affaccia su uno dei canali che nel XII secolo venivano usati per la navigazione mercantile. La finestrella, anche se perde molto nei periodi di secca, offre un romantico scorcio che ha ispirato l’immaginazione dei visitatori. Per questo motivo, il muro attorno alla finestrella è stato riempito di cuori disegnati, frasi d’amore e lucchetti.

La Piccola Venezia è uno dei punti più romantici di Bologna, un luogo inaspettato che merita di essere visitato. Inoltre, la città nasconde molti altri misteri riguardo le acque sotterranee, che possono essere scoperti attraverso un’escursione turistica.

LE TRE FRECCE

In Strada Maggiore, all’ingresso di Corte Isolani, è comune vedere persone che alzano lo sguardo verso il soffitto di un antico portico di legno, dove sono conficcate tre frecce. Secondo la leggenda, tre banditi erano intenzionati a uccidere un signore bolognese. Incaricati dalla moglie, poiché tradita, nell’intento di compiere il malfatto furono distratti da una bella fanciulla, presumibilmente l’amante, che si affacciò alla finestra completamente nuda. Questo distrasse gli arcieri che mancarono il loro bersaglio, facendo finire le frecce sul soffitto del portico. Oggi, se si guarda attentamente, si possono ancora vedere i segni dei dardi medievali.

IL TELEFONO SENZA FILI

voltone bologna telefono senza filiSe cammini sotto il voltone di Palazzo del Podestà, potresti vedere persone rivolte verso gli angoli inferiori della torre dell’Arengo intente a conversare. Questo è possibile grazie al fatto che i suoni possono essere trasmessi da un angolo all’altro, dando l’impressione che stiano parlando senza alcun tipo di fili o apparecchiatura. Questa caratteristica è stata progettata durante il Medioevo per permettere ai lebbrosi di confessare i loro peccati senza essere toccati da altre persone.

 

IL VASO ROTTO IN CIMA A TORRE DEGLI ASINELLI:

Per completare il nostro tour dei sette segreti, l’ultima fatica sarà scalare la Torre degli Asinelli. Arrivati alla terrazza dopo aver percorso le ripide scale, dovreste cercare il vaso rotto sulla cima della torre. Ma attenzione, nessuno finora è riuscito a vederlo. In ogni caso, potrete godere della magnifica vista sul centro storico di Bologna.

Per salire in cima alla torre, è necessario acquistare un biglietto d’ingresso e prenotare online. Gli studenti universitari più scaramantici evitano di salire fino al conseguimento della laurea (pare non sia di buon auspicio).

Buon viaggio nella splendida città di Bologna!

Leggi anche: Perché a Torino c’è il Museo Egizio

Che cos’è e come funziona UNISWAP

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Uniswap è una piattaforma decentralizzata di scambio di criptovalute che utilizza gli smart contract sulla blockchain di Ethereum. È stato lanciato nel 2018 e da allora è diventato uno dei principali scambi decentralizzati, con una grande quantità di volume di scambi e una crescente base di utenti.

Perché UNISWAP è diverso dagli altri exchange

Uniswap differisce da altri sistemi, come gli scambi centralizzati, in diversi modi:

  1. Decentralizzazione: Uniswap è una piattaforma decentralizzata, il che significa che non esiste un’entità centrale che controlla o regola gli scambi sulla piattaforma. Questo garantisce una maggiore trasparenza e sicurezza per gli utenti.
  2. Liquidità automatica: Uniswap utilizza un algoritmo automatizzato per gestire la liquidità, il che significa che gli utenti possono scambiare le loro criptovalute senza la necessità di attendere che sia disponibile un partner di scambio.
  3. Commissioni di scambio: Invece di addebitare commissioni fisse sugli scambi, come avviene in molti scambi centralizzati, Uniswap addebita una piccola percentuale su ogni scambio effettuato sulla piattaforma. Questa commissione viene utilizzata per compensare i fornitori di liquidità.
  4. Accessibilità: Uniswap è progettato per essere facile da usare e accessibile a chiunque, anche a chi non ha alcuna esperienza di trading di criptovalute.

Uniswap differisce da altri sistemi per la sua decentralizzazione, liquidità automatica, commissioni di scambio flessibili e accessibilità per tutti. Queste caratteristiche rendono Uniswap una soluzione unica e innovativa per gli scambi di criptovalute. Vediamo nel dettaglio i 4 punti sopraelencati.

Come funziona Uniswap

Uniswap utilizza un algoritmo di liquidità automatizzato che garantisce che gli utenti possano scambiare le criptovalute in modo rapido ed efficiente, senza la necessità di intermediari centralizzati. Questo significa che gli utenti possono scambiare criptovalute in modo rapido ed efficiente, senza doversi preoccupare dei problemi di sicurezza e di fiducia associati agli scambi centralizzati.



Liquidity Pool

Uniswap utilizza un meccanismo di “liquidità pool” che consente agli utenti di fornire liquidità alla piattaforma in cambio di una partecipazione ai profitti generati dagli scambi. Questo meccanismo garantisce che ci sia sempre liquidità disponibile per gli scambi, aumentando la stabilità e la flessibilità della piattaforma.

Uno dei principali vantaggi di Uniswap è la sua semplicità d’uso. Gli utenti possono scambiare criptovalute in pochi semplici passi, senza doversi preoccupare di complesse configurazioni o procedure di deposito. Inoltre, gli utenti possono utilizzare qualsiasi portafoglio Ethereum per accedere alla piattaforma, il che significa che non è necessario creare un account separato per utilizzare Uniswap.

Accessibilità Uniswap

Un altro vantaggo di Uniswap è la sua accessibilità. Poiché è una piattaforma decentralizzata, non ci sono restrizioni geografiche o limiti di deposito, il che significa che gli utenti di tutto il mondo possono utilizzare la piattaforma per scambiare criptovalute.

In ambito sicurezza, Uniswap utilizza la tecnologia blockchain di Ethereum, che garantisce che gli scambi siano registrati in modo immutabile e che gli utenti possano mantenere il controllo completo sulle loro criptovalute. Inoltre la tecnologia blockchain garantisce la decentralizzazione e la trasparenza degli scambi. Se stai cercando un modo semplice e sicuro per scambiare criptovalute, Uniswap è una delle migliori opzioni

Cosa sono i Token ERC-20

I token ERC-20 sono token digitali che seguono uno standard tecnico sulla blockchain di Ethereum. Uniswap supporta questo standard, il che significa che gli utenti possono scambiare questi token sulla piattaforma.

Le commissioni su Uniswap funzionano in modo diverso rispetto ad altri scambi centralizzati. Invece di addebitare commissioni fisse sugli scambi, Uniswap addebita una piccola percentuale su ogni scambio effettuato sulla piattaforma. Questa commissione viene utilizzata per compensare i fornitori di liquidità che mantengono la liquidità sulla piattaforma. Questo può essere un vantaggio o uno svantaggio ovviamente in base alla percentuale di commissione.

Maratona tra leggenda e realtà

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La leggenda della battaglia di Maratona, la storia di Filippide che correndo da Maratona ad Atene ispirò la moderna corsa delle Olimpiadi.

Filippide l’uomo che corse da Maratona ad Atene. La leggenda di Maratona

La battaglia di Maratona

Nel settembre del 490 a.C. un soldato corse a piedi nudi in direzione di Sparta, chiedendo aiuto per fronteggiare il potente esercito imperiale di Persia che minacciava la Grecia.

Era partito da Maratona, che è ad est di Atene e il cui nome significa finocchio, che in quella città cresceva abbondantemente. L’ emerodromo o messaggero corridore, si chiamava Filippide. Coprì 260 chilometri di terreno accidentato in meno di due giorni.

Quindi tornò, combatté e partì di nuovo. Questa volta per Atene, per portare la buona notizia che i greci avevano vinto contro gli invasori persiani nella battaglia di Maratona.

L’impresa

In quell’occasione, Filippide ha corso per circa 40 chilometri che separano Maratona da Atene. Dopo aver compiuto la sua missione, con le sue ultime forze, sarebbe morto davanti ad Atene al grido di nenikekamen o nike, che significa abbiamo vinto.

L’impresa di Filippide, ispirerà uno degli eventi più estenuanti delle Olimpiadi, che prende il nome dalla città: la Maratona.

Tuttavia, ci sono dubbi su quanto ci sia di vero nella leggenda di maratona. In effetti, molti esperti si riferiscono a questa storia come a una leggenda romantica.

filippide maratona

Maratona fra mito e realtà

Sebbene in realtà la vittoria abbia solo ritardato la marcia imperialista persiana, a Maratona per la prima volta è stato dimostrato che la potente Persia poteva essere sconfitta.

La battaglia, passò alla storia come il momento in cui le città-stato greche mostrarono al mondo il loro coraggio e conquistarono la loro libertà.

La sconfitta, di una forza d’invasione inviata dall’uomo più potente del pianeta in quel momento, il re dei re di Persia, Dario I il Grande, per mano di un esercito ateniese molto più piccolo, è una delle imprese più spettacolari della storia militare.

Le notizie che giungono ai nostri giorni le dobbiamo ad Erodoto. Considerato da Cicerone padre della storia, che nei suoi scritti ci parla della corsa di Filippide a Sparta per chiederne l’appoggio nella prima guerra persiana.

L’autore della leggenda

La leggenda più nota successivamente, quella della corsa di Filippide da Maratona ad Atene, non fu però opera di Erodoto, ma comparve per la prima volta in un’opera di Plutarco composta nel I secolo: Sulla gloria degli Ateniesi.

Se l’impresa di Filippide sia vera o meno, rimane ancora oggi un punto interrogativo.
Gli storici ritengono che questa leggenda sia solamente una fusione della reale corsa fino a Sparta e la faticosa marcia da Maratona ad Atene. Compiuta dagli Ateniesi dopo la battaglia contro i Persiani.

stadio panathinaiko

La Maratona moderna

Ai primi Giochi Olimpici moderni tenuti ad Atene nel 1896, gli organizzatori erano alla ricerca di un grande evento che ricordasse la gloria dell’antica Grecia. Nacque così l’idea del mito di Filippide e della Battaglia di Maratona.

La prima maratona olimpica, si tenne il 10 aprile 1896 e il suo vincitore fu Spyridon Louis. Un greco che corse dalla piana di Maratona allo stadio olimpico di Atene (40 chilometri) in 2:58:50.

Tuttavia la distanza variava negli anni, a seconda del circuito che veniva utilizzato, finché nel 1908 alle Olimpiadi di Londra fu modificata.

Pertanto, affinché la gara iniziasse al Castello di Windsor, in modo che la Regina potesse assistere e finisse allo Stadio Olimpico, gli organizzatori furono costretti ad estendere la distanza a 42.195 metri.

Infine nel 1921, l’Associazione Internazionale delle Federazioni Atletiche, stabilì definitivamente che la maratona sarebbe stata di 42.195 metri.

Da allora, le maratone iniziarono a diventare popolari in tutto il mondo. Il prestigio della disciplina, crebbe talmente tanto da diventare oggi un appuntamento fisso delle maggiori manifestazioni sportive e delle olimpiadi.

Inizialmente tutte le maratone erano maschili. Le gare femminili sono iniziate negli anni ’70 e oggi quasi tutte prevedono una modalità femminile. La maratona femminile è stata introdotta per la prima volta nel calendario olimpico alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984.

Le donne e la Maratona

Per un lungo periodo, dopo l’istituzione della maratona olimpica, non ci furono gare di lunga distanza che consentissero la partecipazione delle donne. Nonostante questo, alcune donne come Stamata Revithi si sono avventurate nella distanza della maratona senza essere incluse nei risultati ufficiali.

Marie -Louise Ledru è stata riconosciuta come la prima donna a completare la maratona, un’impresa che fece nel 1918. Dal canto suo, Violet Piercy è riconosciuta come la prima donna ufficialmente cronometrata nella prova nel 1926.

Arlene Pieper è diventata la prima donna a finire ufficialmente una maratona negli Stati Uniti completando la Pikes Peak Marathon a Manitou Springs, Colorado nel 1959.

Kathrine Switzer è stata la prima donna a correre, ufficialmente con un numero di partecipante, la maratona di Boston. Tuttavia, poiché l’anno precedente ( 1966 ) Bobbi Gibb aveva completato la maratona di Boston, anche se ufficiosamente, così anni dopo fu riconosciuta dalla Boston Athletic Association come vincitrice della categoria femminile per l’anno 1966 e per la 1967e 1968.

Nel 2015 l’Afghanistan ha organizzato la sua prima maratona e tra tutti i partecipanti c’era una donna, la 25enne Zainab, che è diventata la prima donna afgana a correre una maratona nel proprio paese.

Abebe Bikila

Abebe Bikila è stato un atleta etiope, due volte vincitore della maratona olimpica. È stato il primo atleta africano a vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi.

Olimpiadi di Roma

Bikila ha iniziato a correre all’età di 17 anni, entrò a far parte del gruppo degli eroi nazionali quando vinse la medaglia d’oro alla maratona alle Olimpiadi di Roma del 1960, prova che corse a piedi nudi. In quell’occasione completò la gara in 2h15’16”, stabilendo un nuovo record mondiale.

Olimpiadi di Tokyo

Alle Olimpiadi di Tokyo del 1964, le condizioni fisiche di Abebe Bikila erano piuttosto precarie. Aveva subito un intervento chirurgico di appendicite sei settimane prima della maratona. L’intervento chirurgico influenzò il programma di allenamento per la gara olimpica. Nonostante i problemi fisici Bikila è riuscito a trionfare, stabilendo un nuovo record mondiale: 2h12’12”.

Olimpiadi Città del Messico

Ai Giochi Olimpici del Messico del 1968, Bikila fu influenzato dall’altitudine, per la quale fu costretto ad abbandonare la prova dopo aver percorso 17 chilometri.

Nel 1969 l’atleta Bikila fu coinvolto in un incidente stradale nei pressi di Addis Abeba, in Etiopia, che lo fece diventare paraplegico. Bikila non riuscì mai a riprendersi completamente dall’incidente e, dopo 4 anni di riposo, morì all’età di 41 anni.

In suo onore è stato intitolato lo stadio nazionale di Addis Abeba.

Perché a Torino c’è il Museo Egizio?

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Tra i sarcofagi dei faraoni e le collezioni del Museo Savoia voluto da re Carlo Felice Savoia, l’oggi conosciuto Museo Egizio di Torino, offre tra i reperti più famosi e conosciuti al mondo.

Il più importante Museo Egizio al Mondo dopo quello del Cairo

Il museo delle Antichità Egizie di Torino nasce nel 1824 per volontà del Re Carlo Felice di Savoia. Una passione, quella di Casa Savoia, che ha vita già nel 1628 con il Duca Carlo Emanuele Primo che, tra i suoi acquisti, vantava la Mensa Isiaca (una lastra in bronzo che raffigura Iside e altri deii).

Il primo reperto di Casa Savoia

La Mensa Isiaca suscitò particolare interesse, motivo per il quale furono inviati in Egitto degli studiosi. Tra questi Vitaliano Donati (Professore Universitario e appassionato di egittologia). Quest’ultimo ritrovò, e portò in Italia, una vasta mole di reperti. Tra i più conosciuti una statua di Ramses Secondo in granito rosa.

La raccolta di più collezioni da vita al Museo Egizio

Dunque, in aggiunta alla collezione di casa Savoia, Re Carlo Felice compra inoltre, dal Console di Francia Bernardino Drovetti, circa 6000 reperti (5628), acquisiti durante l’occupazione in Egitto, tra cui: Sarcofagi, statue, manufatti, papiri e documenti, monili ecc. Secondo gli storici la cifra per l’intera collezione fu di 400mila Lire.

 

Dalla raccolta di queste due immense collezioni nasce quindi il primo Museo Egizio con sede al palazzo chiamato Collegio dei Nobili, dove furono raccolte le collezioni del Re Carlo Felice.

Apertura del Museo Egizio di Torino

La sua prima apertura al pubblico fu nel 1832. Ad oggi, comunque, non tutti i reperti all’interno del museo sono in esposizione al pubblico.

Ritrovamenti e reperti fuori dall’Egitto

Sebbene, fino a pochi decenni fa era pratica comune per tutti i reperti scovati, acquisirne proprietà ed esportarli, soprattutto in paesi occupati da altre nazioni (come il caso della Francia con l’Egitto in era Napoleonica) si è posto fine a tutto ciò. Ad oggi, infatti, tutti i ritrovamenti non possono essere portati fuori dall’Egitto se non per mostre, scambi momentanei tra musei o tour, dei singoli reperti.

I reperti più importanti del Museo Egizio di Torino

Il libro dei Morti o Papiro di Luefankh

Il Libro dei Morti di Luefankh è un esteso testo funebre con alternate delle rappresentazioni. Un papiro dell’era Tolemaica (300 A.C) il cui nome è stato scelto e assegnato, dall’archeologo tedesco Richard Lepsius. Lo studioso, grazie all’ottima conservazione del papiro, ha raggruppato e tradotto l’intero papiro. Suddividendolo in capitoli e paragrafi, ne è famoso il capitolo 125. In questo capitolo viene riportato come Luefankh, con una dichiarazione sulla purezza d’anima, sia degno e meritevole di accedere al mondo dell’aldilà.

Tela di Lino di Gebelein

Un’opera frammentaria, che raffigura barche sul fiume Nilo e non solo. Scoperta dall’italiano Giulio Farina nel 1930. Le figure rappresentate si pensi siano attente alla caccia di ippopotami. Inoltre era puramente ornamentale, sicuramente con significato per la persona cui era destinata. Si stima sia del 3500 A.C. circa, o comunque dell’era Predinastica.

La Mummia di Gebelein

Anche chiamata la Mummia Predinastica data dalla stima dei suoi anni. Molti studi sono stati svolti attorno a questa Mummia, soprannominata dagli studiosi Fred. Ritrovata nel deserto, nel quale la sabbia e il caldo, hanno svolto un ruolo importante nella conservazione, si pensa siano stati eseguiti lavori di mummificazione ancora in evoluzione da parte degli egiziani. Infatti, precede di molti secoli l’era in cui vennero utilizzati i sarcofagi. Nel museo di Torino è stata riprodotto il luogo di ritrovamento. La mummia si trova in posizione fetale in una teca con tutto il corredo funerario ritrovato.

La tomba di Gebelein o tomba degli ignoti

Una scoperta fantastica, poiché il sito ritrovato è risultato inviolato e intatto. Al suo interno, sono state rilevate 3 stanzenelle quali erano presenti, mummie con sarcofagi e corredi al completo. Questo però non è bastato a dare un nome a coloro che “riposavano” al suo interno. La particolarità dei ritrovamenti, risulta, nel modo in cui sono state trattate. Il volto ridipinto sulle bende che coprono il viso, anziché ricostruito in maschera. Gli arti bendati in maniera insolita, ovvero a parte, rispetto al resto del corpo.

La cappella dell’artista Maia e della moglie Tamit

Risalente all’era di Tutankhamon, nel villaggio riscoperto Deir el-Medina, vicino all’oggi conosciuta Luxor, un ritrovamento che dimostra l’evoluzione degli egiziani nelle opere funerarie. Qui anche le pareti, sono state dipinte e ornate con scene rappresentati il rito funerario della coppia ritrovata. Nei dipinti vengono anche riportate le persone che vi parteciparono, come ad esempio i figli. L’intera cappella con le pitture è stata rimossa dal sito per essere ricostruita all’interno del Museo.

La tomba di Kha e Merit

Come per la cappella di Maia e Tamit riscoperta a Deir el-Medina, anche la tomba di Kha e Merit è stata ritrovata nello stesso luogo. Kha era l’architetto al servizio del Faraone Amenhotep Terzo. Anche questo sito è stato ritrovato illeso e non deturpato. All’interno erano presenti sarcofagi con dettagli d’orati. Quello dell’uomo era composto da tre sarcofagi, uno dentro l’altro, tipo matrioska. Inoltre, scrigni, rappresentazioni in statuette, ornamenti e contenitori d’argilla contenenti cibo dell’epoca. Il sito, interamente riportato al Museo Egizio di Torino (ex Museo Savoia) è datato a circa 3500 anni fa.

Ostrakon della ballerina

Anche questo reperto, è stato ritrovato nel famoso sito a Deir el-Medina. Raffigura movimenti danzanti di una giovane ballerina. Ostrakon o Ostraka dal greco conchiglia, erano le basi che fungevano da tela per i dipinti degli artisti egiziani. Un frammento in pietra calcarea del 1500 circa a.c. delle dimensioni minute, è un pezzo prezioso del repertorio del museo di Torino. Sia perché rappresenta movenze degli usi e costumi dell’epoca, sia perché ci fa capire quanto fossero creativi gli artisti dell’epoca.

Ellesyia e il suo Tempio rupestre

Vicino ad Abu Simbel, famoso sito in cui diverse opere e Templi sono dedicati al faraone Ramses Secondo e sua moglie Nefertari,  è stato ritrovato il tempio di Ellesya. La sua costruzione è stata decisa da Thutmose Terzo (Faraone del 1400 circa a.c.). Questo tempio è stato più volte ridipinto e ristrutturato dalle diverse culture che si sono susseguite nei tempi. Dapprima nell’era e nel credo del Faraone Akhenaten, dopodiché dal faraone Ramses Secondo e infine dall’epoca Cristiana. Nel 1960 circa, l’Unesco decide di rimuovere i vari siti e templi a causa dell’avanzamento delle acqua del lago Nasser. Tra i partecipanti ai lavori, molti archeologi italiani, motivo per il quale l’Italia, nello specifico il museo di Torino, ricevette in dono il tempio di Ellesya.

Questi, ma molti altri ritrovamenti e opere risalenti all’era Egizia sono in esposizione al Museo Egizio di Torino (Ex Museo Savoia). Da non perdere sono anche, la Galleria dei Re, quella dei Sarcofagi e ancora il famoso papiro erotico, la Statua di Uahka (governatore di circa 2000 anni fa), la Tomba di Ini (anch’egli governatore e guardasigilli del regno). La tomba di Ifi e Neferu, e molto, molto altro.

Per visitare il museo, e acquistare i biglietti, è possibile farlo prenotando anche una visita guidata presso il sito ufficiale del Museo di Torino.

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